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In punta di penna – L’intervista ad Angelo Maria Perrino

Ecco quali sono i veri valori giornalistici e sociali che hanno ispirato, fin dal primo momento, l’organizzazione dell’evento “La Piazza, il bene comune”

di ALESSANDRO NARDELLI – A Ceglie Messapica, dal 26 al 28 agosto, i big della politica nazionale, si ritroveranno in Piazza Plebiscito, per la quinta edizione dell’evento “La Piazza, il bene comune”, una tre giorni organizzata da Affaritaliani.it dove, quest’anno come non mai, si discuterà dei principali temi politico-sociali-economici che rappresenteranno il modus operandi di chi governerà la nostra Nazione, dopo le elezioni del 25 settembre 2022.

Saranno presenti nomi di altissimo spessore, come l’ex Premier Giuseppe Conte, Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini, Giuseppe Conte, Antonio Misiani, responsabile Economia e Finanze del Partito Democratico nella segreteria nazionale di Enrico Letta e Marco Rizzo.

Intervistando il Direttore di Affari Italiani, Angelo Maria Perrino, organizzatore e deus ex machina dell’evento “La Piazza, il bene comune”, sono venuti fuori interessanti spunti sui veri valori giornalistici e sociali che hanno ispirato, fin dal primo momento, l’organizzazione dell’evento. Queste le sue parole:

Ogni giornale il suo stile, quale il suo approccio su tematiche così delicate quali quelle riguardanti la politica italiana?

  • Io ho un approccio che definirei anglosassone e che viene dalla mia formazione originaria. Io mi sono formato a Panorama, quello degli anni 70-80, la più grande scuola di giornalismo nel dopoguerra, assunto da Lamberto Sechi, l’uomo che ha inventato il News Magazine in Italia.

    Sechi ci obbligava a spersonalizzarci, nascondeva la nostra firma in fondo al pezzo, cioè voleva un giornalista non narciso e auto centrato, ma ci chiedeva di spogliarci dai pregiudizi, raccontando la realtà per com’era, infatti lo slogan era “I fatti separati dalle opinioni”.

    Io mi inserisco in questo filone di pensiero e con Affari Italiani cerchiamo di essere al di sopra delle parti, tant’è che “La Piazza, il bene comune” al quinto anno consecutivo, vedrà, il 26-27-28 agosto a Ceglie Messapica, ospiti che vanno da Giorgia Meloni a Marco Rizzo, a mio parere, l’ultimo comunista italiano.

Quanto è difficile per un giornalista, in particolare per un direttore, essere neutri?

  • Non è difficile, è un habitus mentale che si ottiene certamente con l’educazione, ma, che definirei, soprattutto, uno stile.

    Io paragono il giornalista allo psicanalista. Per fare il lavoro di psicoanalista, si deve lui stesso psicoanalizzare, sottoponendosi ad una serie di pratiche che gli consentano di liberarsi dei suoi vissuti ed essere scienziato. Ecco, il giornalista dovrebbe fare lo stesso, facendo uno sforzo e lavorando su di sé, per liberarsi dei suoi pregiudizi, delle sue simpatie e raccontare i fatti nella più assoluta oggettività.

Questo è il quinto anno dell’evento “La Piazza, il bene comune”. Con quale spirito, prosegue questo evento?

  • La piazza è nata in una logica di thanksgiving, come dicono gli americani, cioè restituire, ringraziare. Io volevo dire grazie al mio paese, Ceglie Messapica, perché qui sono nato.

    Avendo fatto esperienza giornalistica a Milano, l’obiettivo è quello di portare a Ceglie Messapica, una ventata di giornalismo, per dare al territorio qualcosa di quello che ho imparato a Milano. Quindi, l’evento, è nato da questo empito morale.

    Ho scelto di dare vita ad un momento di discussione politica con tutti i big, in piazza, che è un riferimento simbolico; basti pensare all’agorà greca, ma anche anche al luogo dove ci si incontrava per contrattare e vivere la vita cittadina e il posto dove si faceva politica. Era una parola un po’ obsoleta, messa da parte dalle mode successive, che ho voluto rilanciare, con l’obiettivo di mettere i cittadini a contatto diretto con i politici, scavalcando le finzioni dei social.

Il sottotitolo della Piazza è il bene comune. Cosa rappresenta per lei?

  • Il bene comune è ciò che dovremmo costruire, ma alla quale siamo meno abituati. Se una cosa non è nostra pensiamo che non sia di nessuno, invece è di tutti.

    L’amore per il bene comune è l’amore per le istituzioni, per le regole, per la città. Questo, una volta si chiamava Educazione Civica e ci veniva insegnata anche a scuola, mentre ora non si fa più e vediamo, infatti, quanto disprezzo la gente abbia per il bene comune.
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